SIRACUSA: LA FAMIGLIA DI SALVO MICONI SI RACCONTA

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IMG_6939.jpgLa città di Siracusa era in festa quel giorno. Fedeli e non attendevano il rientro del simulacro argenteo di Santa Lucia in occasione dell’ottava. La processione, improvvisamente, quando il simulacro percorreva Corso Gelone, rallenta. Volti preoccupati fanno da premonizione a qualcosa di triste. Passano alcuni minuti e Santa Lucia si ferma. I volti diventano sempre più preoccupati. La processione rallenta ancora e si scioglie in alcuni punti. La banda, festosa, smette improvvisamente di suonare.

Il silenzio regna sovrano. I tradizionali fuochi vengono, anche essi annullati. Il simulacro della Santa patrona di Siracusa continua il suo percorso lentamente e in silenzio, deviando il solito percorso.

Non può passare davanti a Piazza Pancali. Non può perché quella piazza si è macchiata inesorabilmente di sangue.

A perdere la vita è il ventunenne aretuseo Salvatore Miconi. Il suo assassino è un coetaneo Niky Nonnari. Miconi resta a terra, davanti gli occhi di tantissimi siracusani e non, ferito a morte da una coltellata assestata poco sotto il cuore.

L’ottava di Santa Lucia si macchia di sangue e la patrona rientra in Cattedrale in silenzio come per rispetto verso il giovane Salvatore.

Il giorno successivo in Questura viene indetta la conferenza stampa sulle dichiarazioni dell’assassino.

Le versioni sul delitto, da quel giorno, a quanto pare cambiamo circa tre volte.

Gli avvocati di Niky Nonnari hanno scelto il rito abbreviato facendo slittare tutto al mese di ottobre.

Il nostro compito, però, non è quello di entrare in meriti che competono la magistratura.

La famiglia di Salvo Miconi si raccontano, dopo quel maledetto giorno, alla stampa.

Tutto è iniziato con una chiacchierata. Uno sfogo tra donne. Dall’alta parte del computer però non c’era una donna qualsiasi ma Lucilla. Lei è una mamma “coraggio”. Esitiamo a digitare una risposta perché chi scrive è una mamma che ha vissuto il dolore più grande della vita, la perdita di un figlio. Lucilla, infatti, è la mamma di Salvatore Miconi.

Incontriamo Lucilla e il marito Riccardo proprio nel panificio di famiglia dove dentro, corrono lenti e veloci allo stesso tempo i ricordi di Salvo, anziSalvuccio.

Lucilla ci riconosce non appena scendiamo dalla macchina. Ci sciogliamo in un lungo abbraccio perché, alla resa dei conti, siamo essere umani prima di tutto.

Entriamo dentro il panificio. Ci accoglie Riccardoche ha appena finito di lavorare qualcosa. Chiacchieriamo a lungo davanti a un caffè che sembra avere un sapore diverso.

Con un filo di voce e le lacrime agli occhi Riccardo esordisce dicendo: “Quel 20 dicembre ho chiuso subito il negozio anche se sono arrivato in ospedale per ultimo. Mia moglie è scappata subito senza sapere, ancora, cosa era successo ma dentro si sentiva che era successo qualcosa di grave a Salvuccio”.

“Pensare che Salvuccio non ci sia più è terribile. Lui era l’unico figlio maschio. Ha studiato e come una persona responsabile – continua Riccardo Miconi – vedendo i problemi lavorativi del nostro Paese ha deciso di lasciare la scuola per lavorare nell’attività di famiglia. Il suo aiuto è arrivato dopo che ho subito un intervento. Salvo è subito corso al panificio per darmi una mano e non è più andato via”.

Chiediamo a Riccardo cosa si aspetti dalla giustizia nonostante nulla al mondo gli restituirà suo figlio.

“Salvuccio non tornerà mai più, ormai lo so. Nessuno me lo ripagherà. Voglio solo la soddisfazione della verità. Non m’interessa sapere se qualcuno prenderà dieci, venti, trent’anni o l’ergastolo. Voglio solo che esca fuori la verità e si capisca che mio figlio non era la persona rissosa che hanno descritto”.

Alla domanda quel è il ricordo più dolce che il papà ha di Salvo, Riccardo resta in silenzio. I suoi occhi si riempiono di lacrime e dopo qualche minuto dice solo:“Salvuccio era la mia forza”.

La parola passa a Lucilla che spezza le parole del marito indicando quello che ci circonda.

“Tutto questo doveva diventare suo, era il suo sogno”.

Per Lucilla il ricordo più dolce di Salvo è diverso da quello di Riccardo: “Quando entrava qui in panificio e mi prendeva in braccio. Per lui non ero solo una mamma ma un’amica. Scherzava con me, mi chiudeva dentro il frigo, mi abbracciava, mi baciava”.

“Mamma dove sei? Mamma hai mangiato? Mamma pranziamo insieme al Mc Donald? Mamma quando arrivi dalla zia mandami una messaggio e non farmi stare in pensiero” dice Lucilla con la voce rotta.

“Ricordo – prosegue Lucilla Miconi – quando ho subito un intervento. Salvuccio era con me ed era talmente affettuoso che tutti pensavano fosse il mio fidanzato e non mio figlio”.

Lucilla guarda il locale di famiglia con gli occhi sgranati e dice: “Non riesco più a stare dentro questo posto. Tutto mi ricorda mio figlio”.

Le diciamo semplicemente: “Non pensi che tuo figlio avrebbe voluto vederti qui dentro, sorridere ancora?”.

Annuisce con la testa la mamma coraggio. Ma dentro il cuore porta qualcosa di indescrivibile. Trascorriamo più di un’ora insieme e tutti i ricordi sembrano essere nitidi come delle fotografie.

Lucilla e Riccardo ci tengono unanimemente a far capire che il figlio non era il ragazzo rissoso che qualcuno ha erroneamente descritto.

Sull’amicizia con Niky Nonnari sottolineano che in realtà i due giovani erano conoscenti e qualche volta si sono trovati ad uscire insieme in gruppo.

Incontreremo ancora la famiglia Miconi per dare voce a due genitori di urlare il proprio dolore e la propria solitudine.

Solo parlando si può tenere il ricordo vivo e acceso. E Riccardo e Lucilla non vogliono spegnere il ricordo del proprio figlio.

Ci voltiamo a salutare e non possiamo fare a meno di osservare una foto di Salvo Miconi appesa alla parete. Era al mare in quello scatto fotografico che la famiglia ha deciso di tenere all’interno dell’attività di famiglia. Era felice come un ragazzo di solI 21 anni. Sorride con le labbra e con gli occhi. Sembra quasi osservare il “suo”panificio.

Riccardo e Lucilla, in fondo, lo sanno che Salvuccio non è mai andato e mai andrà via dai loro cuori.

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