Oggi è il giorno del dolore. Un giorno che nessuno avrebbe mai previsto. Un giorno che nessuno avrebbe mai voluto vivere. Questo è il giorno in cui non servono più le parole. Un giorno vuoto. Un giorno dove perdi il coraggio. Questo è un giorno dove non puoi tornare indietro. Un giorno dove non puoi farti ragioni valide.
Un giorno dove il dolore prende il sopravvento nell’anima e nella pancia. Non dormo più da due giorni. Non dormo perché sono cambiata negli anni. Non dormo perché oggi potrei essere anche io madre. Scrivo di pancia. Perché non riesco a fare altro. Non voglio che questo sia un semplice articolo ma piuttosto un redazionale che resti in mente ai lettori. I funerali sono il momento più brutto. Segnano il distacco. Il distacco reale.
Quello che ti spacca l’anima e ti chiude la bocca dello stomaco. Il distacco che simboleggia il vuoto di una perdita. Il distacco che vuol dire perdere per sempre, fisicamente, la presenza di una persona.
Potrei essere madre. Ho paura. Ho paura perché un figlio è la cosa più preziosa del mondo. Lacrime. Dolore. Lamenti. Occhi pieni di paura. Colmi di vuoto e disperazione fissano una bara ferma. Una bara dalla quale non uscirà più nessuno.
Sono finiti i giochi, le lasagne preparate dalla mamma, le chiacchiere con il papà, le paure dell’adolescenza, i prima baci, i giorni di sega a scuola. Sono finite le paura per i brutti voti e le felicità per quelli eccellenti. Sono finiti i momenti di gioia con gli amici. Sono finite le giornate di sole su un motorino. Sono finite le corse che ti fanno perdere il fiato per abbracciare chi vuoi bene.
E’ finita la speranza oggi. Inizia la consapevolezza.
Cento colombi bianchi sono stati liberati davanti al feretro del giovane Francesco. I volti straziati dei genitori hanno reso tutto più doloroso.
“Ci piace immaginare che ti eri recato lì, forse in uno dei tuoi luoghi più amati, per osservare ancora una volta quel magnifico paesaggio, per liberare i tuoi pensieri e farli volare nel vento… Ci piace immaginare che hai passato quella giornata con felicità e spensieratezza… Ciao Francesco”.
Sono queste le parole che il padre, Giacinto Avola, ha impresso dietro delle piccole foto ricordo del figlio. Foto che accompagneranno gli anni futuri degli amici, come è capitato a molti di noi.
Gli amici hanno accompagnato Francesco, o meglio Ciccio, come hanno urlato per tutto il percorso, dalla chiesa di Santa Rita fino al Molo Sant’Antonio dove, come ultimo saluto, hanno fatto esplodere dei fuochi d’artificio. Vicino al mare… lo stesso mare che non lo ha aiutato. Lo stesso mare che non ha avuto nessun tipo di clemenza per lui, così giovane.
Ora resta il dolore di una famiglia che cercherà di fare giustizia al figlio. Restano gli occhi gonfi di amici e compagni di classe disperati. Oggi è stato un giorno di sega a scuola. Uno di quei giorni che ricorderai anche meglio del primo canto della Divina Commedia. Lo ricorderai perché ti ha dato una lezione ancora più forte di quella che ricevi all’interno dell’aula.
A farti da insegnante è stata la vita che ti ha colpito con un ceffone a centro di faccia e non con un tre sul registro. Oggi molti giovani hanno imparato che la vita è fatta di momenti da vivere con la giusta spensieratezza. Oggi molti di loro si sono trovati a confronto con la signora “morte” troppo presto.
Alla famiglia Avola un grosso abbraccio…
Un abbraccio a tutti i ragazzi con cui ho parlato ed a quelli che ho solo guardato negli occhi…
Chiudo così… Stop…
Malefica